martedì 23 aprile 2013

Trance, o "ci piace frugare nelle teste della gente"


Ne ho saltati troppi, di appuntamenti.
Non ho parlato di Looper, che pure meritava un sacco, uno dei migliori film di fantascienza che abbia visto negli ultimi tempi, buissimi, in cui il genere è in declino vertiginoso. Voglio dire, guardatevi intorno e ditemi se quei drittoni che dal diciannovesimo secolo scrivono di questi avvenimenti improbabili non avevano ragione (mancano i viaggi intergalattici, i Morlock e gli androidi senzienti, tutto il resto c'è già). Praticamente il fantascienzo di ieri è il realista di oggi.

Non ho parlato di Cloud Atlas, degli infiniti legami nello spazio e nel tempo, di Ben Whishaw che è una cosa esagerata anche quando fa la moglie di Hugh Grant (sì, avete letto bene. MOGLIE.) e del fatto che pure mentre leggevo il libro, la parte delle lettere a Rufus Sixsmith, io vedessi distintamente le facce sua e di James D'Arcy e non avessi niente in contrario perché sono troppo perfetti nelle parti, sono loro. Meno facile pensare a Tom Hanks e Halle Berry, che non ci incastravano una mazza coi personaggi interpretati; Jim Sturgess, pure lui perfetto. Insomma, avrei potuto scrivere un trattato su libro e film, insieme, ma non l'ho fatto.
Non ho fatto i Nani d'oro. Mi cospargo il capo di cenere.
Non ho nemmeno recensito mai un disco, anche se posso riparare molto velocemente: Opposites dei Biffy Clyro è bellissimo, The Golden Age di Woodkid è oltremodo epico e l'ultimo degli Strokes fa cagare in una maniera imbarazzante.
Persino in queste giornate convulse, in cui sembra che là sopra muoiano dalla voglia di farci capire che non gliene importa un cazzo dei nostri voti, delle nostre opinioni, e continuano a farsi gli affaracci propri - non solo! Si scavano pure la fossa da soli, adesso! - non ho parlato di elezioni o presidenti della Repubblica ottuagenari o di tutti gli altri Terminator che non si levano dai coglioni nemmeno quando l'aria è satura delle loro cazzate cosmiche. Quanto vi piacerà, adagiare le vostre orribili terga su quelle morbide poltrone, lo sapete solo voi.
Dunque è il caso che almeno di qualcosa parli e guarda caso oggi ho qualcosa da raccontare.
Sono stata al cinema.
Dopo due mesi e mezzo in Inghilterra, ho mosso le chiappe e sono andata al cinema: ho visto Trance, ultima fatica di Danny Boyle.
(ATTENZIONE: cercherò di non essere guastafeste ma potrebbe esserci la possibilità di qualche spoiler o, quantomeno, specifica più profonda, dettagli minuziosi per intenderci. Se non volete rovinarvi la visione per nessun motivo non leggete oltre. Vi vorrò bene comunque.)
Boyle è uno di quei registi che ha alternato continuamente piccoli capolavori a cagate micidiali, assestandosi negli ultimi anni come un regista dotato di uno stile peculiare e capace di affrontare le storie e i generi più disparati. Tra l'altro, il fatto che stia lavorando su Porno, il seguito di Trainspotting, fa in modo che gli voglia ancora più bene del normale. Non vedo l'ora, seriamente.
Nel frattempo però si è dedicato a questa pellicola che, devo dire, è inserita perfettamente in un contesto molto caro ai registi di oggi: il parallelo tra il mondo reale e il mondo della mente, tra realtà e turbe psichiche. Christopher Nolan è stato un caposcuola in questo, va detto: con Memento e Inception ha inaugurato il filone del 'regista d'autore che si mette a trafficare nei cervelli dei suoi personaggi'. Lo stesso ha fatto Boyle, che ha lasciato che la psicologa ipnotista Rosario Dawson iniziasse a frugare nella testa di James McAvoy, impiegato in una casa d'aste che si ritrova impelagato nel bel mezzo del furto di un dipinto di Goya. Il capo della banda, Vincent Cassel, se ne va col quadro, per poi scoprire che c'era solo la cornice, così va a ripescare il ragazzo per farsi dire - chiaramente coi soliti metodi poco ortodossi - dov'è stata nascosta la preziosissima tela. Peccato che il nostro sia incappato in una serie di incidenti, con annessi traumi cranici, che hanno completamente resettato quell'informazione così preziosa. Ecco dunque che entra in campo la Dawson, specializzata in ipnosi. Via via che le cose vengono a galla emergono tutta una serie di particolari inquietanti sui trascorsi dei personaggi, in un rovesciamento continuo di parti: cominci che pensi di sapere chi sia il buono e chi il cattivo, e ti ritrovi in fondo che i ruoli sono completamente invertiti e che, anzi, non sei nemmeno troppo sicuro di sapere se sei nella realtà o nella testa di Simon (questo il nome del personaggio interpretato da McAvoy).
L'attenzione ai dettagli è essenziale, è una sorta di bussola per cercare di non perdersi e ricalca molto l'espediente che, secondo alcuni, è stato usato da Nolan in Inception: vi è una teoria, infatti, secondo cui il vero totem di Cobb non sia la trottola, appartenuta alla moglie Mal, bensì la sua fede nuziale, e che capisca quando è nel sogno e quando nella realtà dalla presenza o meno di essa al dito (poiché nel mondo del sogno i due sono ancora sposati).
Vero o meno che sia, è un ottimo pretesto per ricollegarsi allo stratagemma usato da Boyle su McAvoy: infatti, per sapere dove sia la tela gli scagnozzi di Franck (Cassel) torturano Simon anche staccandogli le unghie, ragion per cui è costretto a fasciarsi le dita con dei cerotti. Stando bene attenti alle mani - che d'altronde vengono riprese molto spesso - si può percepire quando si è nella realtà e quando nella mente rabbuiata del ragazzo: dita incerottate, siamo nella realtà; dita in perfetto stato, siamo nella sua mente contorta. Chiaramente è una cosa che viene notata in itinere, se si ha quel minimo di acume da permetterci di cogliere il particolare.
Il problema o, meglio, l'enorme pregio dello storytelling di questo film è che ci sono punti in cui il montaggio è talmente veloce e convulso da distrarre qualsivoglia tentativo di riconoscere in che ambito il regista e i suoi personaggi si stanno muovendo. Succede così che i 'WTF?!' si moltiplicano fino alla risoluzione completamente spiazzante, non tanto perché mancassero i presupposti (anzi, abbondano!) quanto perché i pezzi sono ricollegati in maniera inaspettata: non è forse il fine ultimo del cinema quello di stupire lo spettatore con trovate che mai avremmo immaginato? E diventa sempre più difficile, visto che ormai siamo così scafati da non farci fregare facilmente.
Tuttavia, quando cogli tutto quel che c'è da cogliere, ti aspetti una certa sequenza di eventi - o non ti aspetti proprio nulla - e infine rimani stupito del risultato, vuol dire che il lavoro è maledettamente buono e da Boyle non attendevo niente di diverso, poco importa che questo filone mental-psico-onirico sembri andare per la maggiore negli ultimi tempi.
Probabilmente è un altro tipo di fantascienza - nella fattispecie fantathriller - l'ultimo possibile di questi tempi: i viaggi intergalattici forse sono un po' ingenui e ancora troppo lontani, il resto è già tutto ampiamente reale (o quantomeno realistico) mentre il cervello, con le sue dinamiche, è ancora un organo dall'aura misteriosa e il potenziale immenso. L'ipnosi, per converso, è praticata sin dall'antichità e in narrativa è oltremodo abusata: ma qui è funzionale alla storia in toto e, oltretutto, non è la solita pippa col pendolo e il ciarlatano di turno che la pratica per proprio tornaconto. Ormai sono tanti quelli che si rivolgono agli specialisti della branca per farsi aggiustare certi problemini di dipendenza o di memoria e la cosa pare funzionare. Non c'è più spazio per le superstizioni.
A questo punto, non si fosse capito, Trance è promosso a pieni voti.

Prossimo appuntamento cinema: Iron Man 3.
Diamine, non vedo l'ora. 'Sta scimmia sulla schiena è diventata grossa come King Kong.

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